Accade raramente
ma purtroppo accade seppur RARAMENTE la badante, a cui si è concessa la “Residenza” e il Comune abbia rilasciato la Carta di Identità, la badante, a fine rapporto di lavoro, decida di non lasciare l’abitazione dell’assistito, ove prestava il proprio servizio. Nel caso in cui la badante convivente non dovesse lasciare libero l'immobile, si possono avviare le pratiche di sfratto.
Si ricorda, che il contratto di lavoro, registrato all’Inps, è stato prima registrato con la risposta ai quesiti di:
“…sussiste convivenza con “l’assistito” : Si…No?
Se si indica: Si, è palese che la badante godrà del beneficio dell’alloggio.
Tuttavia l’alloggio, non comprende l’abitazione intera, ma solo una stanza…dell’abitazione dove la badante godrà della sua privacy e potrà beneficiare del suo riposo notturno e diurno.
Il funzionario comunale, dopo un sopralluogo di presenza e aver visionato di persona l’alloggio e verificato l’idoneità alloggiativa che rispetti le norme igieniche, il Comune, a seguito del Verbale emesso dal funzionario, concederà la residenza.
Dunque, la stanza diverrà la “residenza” della badante e la badante non formerà alcun nucleo famigliare a fini fiscali e della dichiarazione dei redditi del datore di lavoro o dell’assistito o assistiti se più di uno.
Ma prima di arrivare alla concessione della Residenza, si sono fatti prima altri passi.
Percorriamo insieme i passi compiuti.
Prima di aver concesso la “Residenza” normalmente si instaura un rapporto di lavoro, registrato all’Inps. Successivamente, entro 2 giorni, ovvero 48 ore, si deve comunicare al Commissariato più vicino o, meglio, alla Questura - “immigrazione” se è straniera, la dichiarazione di ospitalità. NOTA: la comunicazione di ospitalità va comunicata anche se si ospita un parente o qualsiasi persona presso la propria abitazione per un periodo superiore a 2 giorni.
Cosa dice la legge: da BROCARDI
Dispositivo dell'art. 7 Testo unico sull'immigrazione
1. Chiunque, a qualsiasi titolo, da alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all'autorità locale di pubblica sicurezza.
2. La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l'esatta ubicazione dell'immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospitata o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta.
2-bis. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 500 a 3.500 euro.
Ospitalità: Legge 286/1997
anche meglio conosciuta Legge Bossi-Fini per la quale, noi dell’Associazione, motiviamo sempre che l’Ospitalità è legata ad una DENUNCIA rapporto di lavoro dichiarato all’Inps numero: xxxxxxx, in regime di convivenza, per assistenza.
(NOTA: di solito nessuno lo dichiara e da questa negligenza successivamente possono derivare lacune interpretative.
NOTA.2: lavorare costa… e così, per evitare i costi, quasi tutti…. evitano l’osservanza delle regole, raggirandole.)
Va de sé che successivamente, passano 2 mesi, 4 mesi, 6 mesi, la badante per necessità avrà bisogno della Tessera Sanitaria la quale viene emessa nella USL di competenza territoriale. Anche se la badante avesse già una sua tessera Sanitaria precedentemente rilasciata da altra Usl, questa si trova dell’area di competenza territoriale. Esempio: Milano e Trieste hanno USL di appartenenza diverse, e così via.
La USL per rilasciare la nuova Tessera Sanitaria chiede per forza la Carta di Identità e da qui nasce l’esigenza di chiedere la nuova Residenza (se la badante avesse già una Carta di Identità rilasciata da un altro Comune, chiederne il trasferimento della Residenza, oppure se non avesse mai avuto la Residenza, di venir registrata al Comune e chiederne una nuova.)
Idem richiesta di Residenza, viene richiesta delle Banche, Istituti di Credito, Banco Posta, Poste Pay, etc… le quali necessitano di avere la Carta di Identità per aprire un conto bancario con: IBAN sul quale ricevere il BONIFICO dello stipendio.
NOTA: anche se il datore di lavoro o il famigliare assistito dovesse rifiutare di concedere la Residenza alla badante, quest’ultima, per effetto del contratto di lavoro in regime di convivenza, avrà il diritto di recarsi da sola al Comune e chiedere la residenza. Questo per Legge, dove passati oltre 185 giorni dell’anno di abitazione, si dà per certo che la badante abiti presso la famiglia e il Comune, anche senza assenso del datore di lavoro, sarà obbligato a concedere la Residenza e rilasciare la Carta di Identità.
VEDI ad esempio se un lavoratore italiano si reca all’estero e lì risiede per oltre 185 giorni all’anno, la dichiarazione dei Redditi dovrà presentarla nello Stato dove lavora e risiede. (Esempio: lavoratori occasionali, stagionali).
Nel caso contrario, se rimane all’estero per un periodo inferiore ai 180 giorni all’anno, la dichiarazione dei Redditi e di conseguenza le Tasse verranno dichiarate e pagate in Italia.
IN CONCLUSIONE
La residenza non è un requisito legale per l'assunzione di una badante né un obbligo automatico per il datore di lavoro, ma è un diritto per la badante convivente che non ha un'altra residenza in Italia e serve a regolarizzare il rapporto di lavoro. Per richiederla, la badante deve presentare all'ufficio anagrafe del Comune il proprio documento d'identità, il codice fiscale, il permesso di soggiorno (se straniera) e il contratto di lavoro, firmato dal datore di lavoro, che attesti il titolo di occupazione dell'immobile.
Quando la badante ha diritto alla residenza
Se la badante è straniera e non ha altre residenze in Italia, è obbligata a stabilire la residenza presso l'abitazione del datore di lavoro per poter essere assunta.
Una badante italiana o che ha già una residenza in Italia può scegliere di non trasferirla presso l'abitazione del datore di lavoro, ma può mantenere il suo domicilio attuale.
Documenti necessari per la registrazione della residenza
La richiesta di residenza si fa presso il Comune e richiede i seguenti documenti:
Cosa succede dopo la richiesta
Cosa accade alla fine del rapporto di lavoro
Al termine del contratto di lavoro il personale assunto per assistere un anziano non autosufficiente deve lasciare libero l'alloggio.
Sentenza della CASSAZIONE
La sentenza n. 36546/2015 della Corte di Cassazione stabilisce che la badante che continua a occupare l'immobile dopo la morte del datore di lavoro commette il reato di invasione di edificio (art. 633 c.p.) poiché si impossessa illegittimamente dell'abitazione agendo come se ne fosse la proprietaria e senza averne più un titolo. L'occupazione deve essere sine titulo, ovvero senza alcun titolo o permesso valido.
Cosa significa per la badante e gli eredi:
La badante che resta nell'abitazione senza un titolo valido si rende colpevole del reato previsto dall'articolo 633 del codice penale.
Il titolo che legittimava la permanenza nell'immobile (il rapporto di lavoro) cessa con la morte del datore di lavoro.
La permanenza nell'abitazione da parte della badante, dopo la cessazione del rapporto, configura un'acquisizione illegittima del possesso della cosa.
Il reato si configura quando la badante gestisce l'immobile come se ne fosse la proprietaria, compiendo atti di possesso che non le appartengono.
Considerazioni importanti:
Nonostante la cessazione del rapporto, agli eredi è richiesto di concedere un periodo di tempo adeguato alla badante per trovare un'altra sistemazione.
Di fronte a un rifiuto di lasciare l'immobile, gli eredi possono rivolgersi alle forze dell'ordine per far rispettare la legge e denunciare il reato di invasione di edificio.
Oltre al penale, l'occupazione dell'immobile da parte della badante potrebbe portare anche a procedimenti civili come lo sfratto, al termine del quale la badante dovrà lasciare l'abitazione.
La sentenza n. 36546/2015 della Corte di Cassazione
riguarda il reato di invasione di edificio, specificamente nel contesto del rapporto di lavoro domestico tra una badante e il suo datore di lavoro.
La sentenza stabilisce che una badante che, dopo la morte del datore di lavoro, continua ad occupare l'abitazione senza titolo, commette il reato di invasione di edificio. In pratica, la badante che non lascia l'abitazione e si comporta come se ne fosse la proprietaria, dopo la morte del datore di lavoro, può essere accusata di questo reato.
La sentenza chiarisce che il reato si configura quando la badante, dopo la morte del datore di lavoro, si imm "senza alcun titolo" nel possesso dell'immobile e lo gestisce "come se ne fosse la proprietaria". Gli eredi del datore di lavoro, quindi, devono concedere un periodo di preavviso congruo per permettere alla badante di trovare una nuova sistemazione, ma non possono tollerare un'occupazione sine titolo dell'immobile.
In sintesi, la sentenza stabilisce che la permanenza della badante nell'abitazione, dopo la cessazione del rapporto di lavoro per morte del datore, senza un titolo che la legittimi, integra il reato di invasione di edificio.
Sfratto alla badante che non libera l'immobile: quando è previsto
Nel caso in cui la badante convivente non dovesse lasciare libero l'immobile, si possono avviare le pratiche di sfratto.
Al termine del contratto di lavoro il personale assunto per assistere un anziano non autosufficiente deve lasciare libero l’alloggio. Ma cosa succede se questo non dovesse avvenire? È possibile avviare la procedura di sfratto alla badante, anche se in un primo momento sarebbe auspicabile tentare una risoluzione amichevole della controversia. Se questo non dovesse dare i frutti sperati, il proprietario dell’immobile può segnalare la violazione di domicilio alle forze dell’ordine e, subito dopo, procedere con le pratiche relative alla causa civile per sfratto.
Quando la badante deve lasciare la casa
La possibilità di risiedere all’interno della casa dell’assistito è un benefit legato al lavoro che la badante sta svolgendo. Una volta che il rapporto professionale si dovesse chiudere - per qualsiasi motivo: licenziamento o per il decesso dell’anziano assistito - il lavoratore (o la lavoratrice) deve lasciare libera la stanza che occupa.
Ma dopo quanto tempo la badante deve lasciare libero l'immobile? Lo deve fare entro il termine del preavviso: questo varia a seconda dell’anzianità di servizio e dell’orario di lavoro. A disporre questa regola è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL).
In caso di licenziamento il periodo di preavviso previsto per una badante convivente è così stabilito:
Cos’è il periodo di preavviso
A seguito della ricezione della comunicazione di licenziamento alla badante viene concesso un lasso di tempo per lasciare libero l’abitazione. Questo è in sintesi il periodo di preavviso, la cui durata, come abbiamo visto in precedenza, viene calcolato sulla base dell’anzianità di servizio e dell’orario di lavoro.
Durante il periodo di preavviso la badante può continuare a vivere nell’abitazione in cui svolgeva il proprio lavoro. Nel caso in cui sia stata licenziata ha diritto alla liquidazione delle ferie e dei permessi non goduti. Dovrà essere erogato anche il TFR, ossia il Trattamento di Fine Rapporto.
In questa fase della pratica è sempre bene farsi seguire da un legale, per non commettere degli errori. I passaggi da seguire dovrebbero essere i seguenti:
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E ANCORA: Come togliere la residenza alla badante?
In questo più ampio contesto è necessario rimuovere la residenza della badante dall’alloggio. Per farlo il datore di lavoro deve comunicare il cambio di residenza all’ufficio anagrafe del Comune: alla pratica deve essere allegata una copia del contratto di lavoro e un documento d’identità. La procedura da seguire nel dettaglio è la seguente:
CASISTICA TRATTA da recensioni: Web Colf
Pubblichiamo di seguito il parere.
La risposta è molto interessante e può essere d'aiuto nella normalità dei casi:
"In ambito di lavoro domestico non è infrequente l’insorgere di controversie che riguardano la fase di scioglimento del contratto.
Può tra l’altro accadere che il lavoratore (badante, portiere, custode), trasferitosi in
costanza di rapporto presso la stessa abitazione del datore di lavoro o presso un alloggio indipendente messogli a disposizione da quest’ultimo, rifiuti, una volta risolto il contratto e decorso il
relativo termine di preavviso, di allontanarsi dall’immobile.
Ebbene, in questi casi molti si chiedono se possa configurarsi un reato e se ci si possa
quindi rivolgere all’autorità giudiziaria penale.
Ad avviso di chi scrive è necessario operare una netta distinzione tra i due casi appena
prospettati (coabitazione o messa a disposizione di alloggio indipendente).
Si prenda anzitutto in esame l’ipotesi della badante che convive nella medesima abitazione in cui dimora il datore di lavoro cui viene prestata
assistenza.
Ebbene, in tale ipotesi il rifiuto di allontanarsi dall’abitazione - una volta risolto il contratto nel rispetto del termine di preavviso ed
a fronte di una esplicita richiesta dell’ormai ex datore di lavoro - sembra integrare - quantomeno sul piano astratto e fatte salve tutte le peculiarità del singolo caso concreto
- il reato di violazione di domicilio sanzionato dall’art. 614
del nostro codice penale.
Da un lato, la condotta della badante appare astrattamente
riconducibile alla previsione contenuta nel secondo comma del citato art. 614, il quale punisce chi si trattiene “nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle
appartenenze di essi”, “contro la volontà espressa di chi ha diritto di escluderlo”.
Dall’altro lato è pacifico che il datore di lavoro, una
volta risolto il contratto, abbia diritto di escludere il lavoratore domestico dal proprio domicilio, essendo venuto meno il titolo giuridico (appunto il contratto di lavoro) sulla cui base il
predetto lavoratore era legittimato a dimorare in quel luogo.
Infine è noto che nel nostro ordinamento l’illecito contrattuale e l’illecito penale possono coesistere, non sussistendo tra gli stessi un rapporto di specialità; dunque, un soggetto può, con la
medesima condotta, violare contestualmente una previsione contrattuale (nel caso di specie l’art. 40 del contratto collettivo nazionale) e consumare un reato (nel caso di specie, quello punito
dall’art. 614 c.p.).
Una conferma, sia pure indiretta, della tesi sin qui sostenuta (secondo la quale in caso di
mancato allontanamento del lavoratore domestico dall’immobile si configura il reato di cui all’art. 614 c.p.) può essere ricavata anche dalla lettura di una recente sentenza di merito
(Tribunale collegiale Lecce, sentenza 31 marzo 2022, n.
820).
Il caso riguardava una badante, regolarmente assunta, trasferitasi (anche insieme al marito
ed alla figlia) presso la dimora del datore di lavoro per assistere la madre e la sorella dello stesso datore, entrambe affette da gravi disabilità, che con lui coabitavano. Nel corso del tempo sia
la badante, sia il di lei marito avevano posto in essere (in tesi accusatoria) una serie di condotte maltrattanti nei confronti delle due donne disabili.
La sera del 7 luglio 2021, esasperato a fronte di un episodio di violenza, il datore aveva
richiesto l’intervento delle forze dell’ordine; contestualmente aveva intimato alla badante ed ai suoi familiari di lasciare immediatamente la casa, senza però ottenere alcun risultato.
Due giorni più tardi lo stesso datore aveva tentato di consegnare alla badante una lettera
di licenziamento per giusta causa, che la donna si era però rifiutata di firmare.
La situazione era rimasta immutata nei giorni seguenti, nonostante il reiterato invito a lasciare la casa. Tant’è che le forze dell’ordine avevano accertato la presenza della donna e dei suoi
congiunti nel corso di un sopralluogo effettuato l’11 luglio 2021.
Di qui l’imputazione elevata contro la badante ed il marito per violazione di
domicilio (art. 614 c.p.) e violenza privata (art. 610 c.p.) “per essersi trattenuti, in concorso tra loro, all’interno dell’abitazione di M.D., M.A.P. e
M.I., contro la loro volontà, rifiutandosi di lasciare la predetta abitazione come richiesto dalle persone offese […] e rifiutando altresì la
S. (ossia la badante, N.d.R.) di sottoscrivere la lettera di licenziamento per giusta causa dicendo che non sarebbe mai andata via da
quell’abitazione”.
Ebbene, dopo aver escluso la configurabilità della violenza privata perché assorbita nella
violazione di domicilio, il Collegio ha assolto l’imputata da quest’ultimo reato sulla base di una duplice ragione: da un lato - si è rilevato - non era possibile pretendere un immediato abbandono
dell’abitazione la sera della violenza (“avendo con loro una figlia minore e non risultando che avessero altro posto dove andare”); dall’altro lato dal momento
del licenziamento per giusta causa (che, come noto, non richiede un preavviso) “erano passati solo tre giorni, termine non congruo per trovare
una
sistemazione per una famiglia di tre persone”.
L’insegnamento che traspare dalla sentenza è chiaro: astrattamente il comportamento del lavoratore domestico che, a fronte del venir meno del rapporto contrattuale e di una richiesta espressa, si rifiuta di lasciare
l’abitazione in cui coabita con il datore di lavoro integra il reato di violazione di domicilio; tuttavia, in caso di licenziamento per giusta causa, affinché il reato possa ritenersi in
concreto consumato è necessario che sia decorso un termine congruo.
Problema che invece non sembra porsi nel diverso caso di recesso del contratto, posto che il
termine (di preavviso e, dunque, di rilascio) è in tale ipotesi direttamente individuato dal contratto collettivo nazionale.
Si prenda ora in esame il secondo caso, ossia quello del lavoratore domestico al quale sia stato messo a disposizione un alloggio indipendente.
L’ipotesi è espressamente
disciplinata dall’art. 40, co. 3, del contratto collettivo nazionale, secondo il quale in caso di risoluzione alla scadenza del
preavviso l’alloggio deve essere rilasciato, libero da persone e da cose non di proprietà del datore di lavoro.
Ebbene, ove ciò non avvenga, risulta integrato il reato di violazione di domicilio?
La risposta sembra dover essere negativa. L’art. 614 c.p. tutela l’abitazione, gli altri
luoghi di privata dimora e le loro appartenenze purché vi sia un’attualità dell’uso, in virtù della quale può appunto parlarsi di domicilio.
In altre parole, affinché trovi applicazione la norma penale è necessario che i luoghi siano effettivamente adibiti alla funzione cui il domicilio deve assolvere;
ossia che vi
sia non già la semplice destinazione, ma la effettiva fruizione di questi come luoghi in cui si svolge o deve svolgersi la vita privata della persona.
Ciò, peraltro, non implica che il proprietario debba
essere sempre fisicamente presente: il requisito dell’attualità sussiste anche nel caso di assenza, più o meno prolungata, da parte dell’avente diritto o di un uso solo saltuario (ed è per tale
ultima ragione che tra i luoghi tutelati rientra anche la casa di villeggiatura utilizzata solo in determinate stagioni).
Ebbene, pare evidente che nel caso di un alloggio indipendente messo a disposizione del lavoratore domestico non possa parlarsi né di abitazione, né di altro luogo attualmente adibito a privata
dimora.
Il che porta ad escludere che, in caso di mancato
rilascio, si concreti, oltre alla violazione del contratto, anche il reato di cui all’art.
614 c.p."
[Condizioni sulla privacy]